Sei in anticipo di un quarto d'ora, mi dice la donna senza sorridere. È la signora Lilly e non è come l'avevo immaginata. Nulla qui è come lo avevo immaginato. Pensavo alla casa di Don Gallo meno scarna di questa sagrestia di legno scurissimo fra ombre pesanti e luci accecanti. Il corridoio è pieno fin sopra al soffitto di scatoloni da smistare, questo è un luogo di lavoro, qui si accoglie, si analizza, si separa. Sulla scrivania le email stampate. La signora Lilly si apre adesso nel sorriso più accogliente e mi spiega che Don Gallo ieri è stato a Biella e stamattina lo hanno voluto alla Rai e perciò non ha dormito per niente. Le sorrido e dico che aspetto fino a che non partirà il mio treno per Torino, se non si sveglia pazienza, ritornerò. Lei chiede ai ragazzi di far accomodare me e Carla nell'altra stanza che ha un balcone con tre sedie di plastica colorate, quella nera è rovesciata a terra. Da qui si vede un pezzo di mare di Genova. Attraversando il corridoio nero e rivedendo la scrivania di legno pesante, che si fa azzurro dove il controluce la disegna, mi vien voglia di ripercorrerlo e rifare tutta la scena da invisibile, per fotografare il tunnel buio e in fondo la signora Lilly e i suoi ragazzi illuminati dal controluce dei finestroni socchiusi. Da visibile non amo farlo e non lo faccio, le foto mi vengono bene solo se sono invisibile che è lo stato del mio essere che amo di più.
Sono da Don Gallo perché lo ho invitato a partecipare al mio progetto sul diritto alla felicità. Il numero telefonico della signora Lilly che tiene la sua agenda me lo ha dato la comunità di San Benedetto; la comunità di San Benedetto l'avevo contattata per verificare che un teatro di Genova, che mi aveva rubato una foto di Saviano a cui ho chiesto un'offerta simbolica (perché non mi si devono rubare le foto!), avesse fatto il bonifico a Don Gallo. Per email Don Gallo mi aveva scritto “Aderisco al tuo progetto Speranza, Bravissima! vieni di pomeriggio“. e sul balcone io e Carla ridiamo perché se non mi avessero rubato la foto, non avremmo pensato di venire qua. Ho sempre poi fatto amicizia con chi mi ha rubato qualcosa.
Passa più di mezz'ora, passiamo nella stanza con il balcone, ha una panca grossa e di fronte un quadro un po' sbiadito, due anziani preti si spogliano dagli abiti della messa e mi chiedono 'Chi sei?' 'sono Speranza aspetto Don Gallo'. 'Bene, bene, siedi pure...' La signora Lilly la vediamo da una vetrata che separa questa stanza dalla sua, si alza e viene da noi. È grossa, hai i capelli tutti bianchi raccolti in una coda, il viso senza accenno di vanità, un sorriso irregolare e due stampelle che a ogni passo vorrei chiederle se posso aiutarla ma mi accorgo che si muove agile sicura di ogni cosa che fa. Mi ricorda una mia zia, ha la sua stessa accoglienza, sa di casa la signora Lilly. Sta con noi, ci fa compagnia. A destra due gradini portano ad una porta da cui arriva musica rock a volume alto, Lilly ride: 'Don Andrea riesce a dormire solo con la radio a tutto volume che copre i rumori del resto del mondo'.
Parla di Don Gallo con la protezione di una mamma preoccupata dello sbattimento, dei ritmi non adeguati alla sua età, dice che è passato dalla taglia 56 alla 50 e che a volte chi vuole intervistarlo ha pretese assurde come andare a Roma per un quarto d'ora di intervento alla tv. Cerca in tutti i modi di misurarlo. Di preservarlo.
Ci racconta della comunità, dice 'noi abbiamo un'unità che va per strada, avviciniamo le prostitute senza l'intento di salvarle, informiamo, semplicemente gli facciamo sapere che esistiamo, non le invitiamo da noi, sono loro che decidono di venire'.
Poi c'è la comunità per i ragazzi tossicodipendenti, a Genova, in Piemonte e non mi ricordo più dove. Sono autogestite e allora ognuna non supera il numero di quindici, una famiglia di quindici persone è già impegnativa. Don Gallo ha accolto anche donne che hanno subìto violenza. La signora Lilly parla con dolore. 'sono più italiane o più straniere?' 'sono SOLO italiane e vengono da famiglie benestanti. L'ultima che è arrivata piena di lividi e irriconoscibile è la moglie di un avvocato che ci ha messo molto ad ammettere che era suo marito a ridurla così'. Lilly sorride rassegnata a un'umanità dolente. Provo a immaginare quanto dolore ha dovuto asciugare, quante spine dal corpo dei poveri Cristi ha dovuto estirpare, magari così come sta parlando, sorridendo, rassegnata all'umanità agghiacciante; e al contempo penso che sono qui a parlare di felicità e che non deve essere stonato parlarne in questo luogo.
Farei un altro rewind, quello dove me stessa torna indietro non vista, per fissare l'attimo in cui la signora Lilly è a due passi di fronte a me nella luce che viene dalla chiesa e esattamente dietro al quadro di cui potrebbe essere figura di Botero con luce caravaggesca. Vorrei chiedere anche a lei, Signora Lilly cos'è la felicità? Ma non lo faccio.
Dice che Don Gallo è stato spesso accusato di aver portato le prostitute ad abortire, 'ma se questi avessero visto come le prendono a calci in pancia per ammazzare quei bambini non parlerebbero, non criticherebbero'
Io e Carla l'ascoltiamo. Carla ha sempre le parole giuste. Quanto sono felice di essere qui con lei! Carla è uno degli incontri più straordinari della mia vita, per mille motivi e di certo mi ha salvata in mille situazioni in cui mi sono persa. Ha quasi settant'anni ma è più giovane di me sicuramente. Lei è mia madre, è mia sorella, la mia amica e nulla di tutto questo; è l'amore quando non ha bisogno di assumere forme, di avere nomi, lei è lei e basta! i è unica. Compagna di cammino finché cammino ci sarà.
La musica si interrompe, Don Gallo si è svegliato. La signora Lilly va a vedere.
Tiro fuori dal mio zaino la macchina fotografica e il quaderno dove gli chiederò di scrivere; sono un po' emozionata, mi sento inadeguata e spero che si attardino. Passano ragazzi che ritirano bottiglie e tazze da latte. Nella stanza entra un uomo e si interessa alla mia macchina, dice 'sono un amatore, non un fotografo, sono curioso, cosa fai qua?'. gli rispondo che manco io sono un fotografo e gli dico del mio progetto. Lui è logorroico e parla parla ma fra tante parole dice una cosa bella, dice 'io li aiuto con i video da tanti anni e quando vengo qui vedo passare tante persone come te, poi posso stare pure dieci anni senza passare e nessuno mi chiama per avere richieste, tutto è senza pretese, se poi ritorno riprendo come se non avessi mai lasciato'.
mi parla della macchina fotografica, ma non lo seguo. Io della macchina fotografica so solo quello che mi ha detto il Cecch, mio amico fotografo, la notte che l'acquistai e il giorno prima di andare a fotografare Gomorra, lo spettacolo teatrale.
Eravamo in stazione e il Cecch mi ha detto: la vedi questa? mettila su M. e poi vedi questo pirulino qua? mettilo sempre al centro. E così faccio. A volte il pirulino lo sposto per sottoesporre, mi piacciono le foto sottoesposte forse perché sono sotto esposta pur'io.
Il primo a dirmi 'nessuno al mondo mi fotografa come te' è stato Roberto Saviano, poi il mio amico quando ho fotografato la sua Africa dopo che lo avevano fatto in tanti. Da qui ho capito che le mie immagini avevano qualcosa che io non vedevo, forse hanno proprio questo istinto quasi animalesco, sono senza studio e senza testa. Questo è bello ma ha i suoi limiti perché non ha controllo e non posso decidere io quando riprodurlo.
In ogni caso per pudore non dico mai che sono fotografa ma, e questo è vero, che sono una che crea immagini. Così mi sento meglio.
Si apre la porta la signora Lilly sorride come quando mia zia ci preparava pane olio e zucchero e ci chiamava perché c'era la canzone di Heidi alla radio, dice entrate!.
Ma il suo volto mi dice 'dai forza coraggio entra', sorride dolce come una mamma.
La stanza è stretta, leggermente a “L“, la prima cosa che vedo sono due immense librerie a destra e a sinistra una scrivania di legno pesante, a sinistra della scrivania un lettino singolo, la luce arancione della stufetta accesa e quella della lampada sulla scrivania che illumina Don Gallo: 'Qual buon vento?' ci accoglie così Don Gallo. 'Prego, sedetevi'.
'Sono Speranza, Don Gallo, grazie per aver accettato di dedicarmi un po' di tempo...' questo io dico e poi lui parla.
Don Gallo è un fiume di parole, instancabile, assomiglia alle persone anziane che hanno tanto da dire e voglia di raccontare ma qui ogni racconto ti sorprende perché unisce generazioni, crea legami tra il semplice e il complesso, descrive cerchi in cui tutto torna, tutto è chiaro, tutto è detto prima che le domande ti si formulino.
Parla della sua mamma e mi accorgo che il racconto della vita di una donna così semplice e che ha appena la terza media è il racconto di un Paese, di scelte tra vivere e morire, è la saggezza dei contadini che hanno anticipato le conclusioni degli scienziati, degli artisti, degli intellettuali; e pare che tutta la vita di don Andrea sia esperienza di questo, di come gli intellettuali che ha conosciuto siano poi giunti alle stesse cose che gli aveva già detto anni prima la sua mamma. E infatti a loro vorrebbe dire, questo me lo aveva già detto mia mamma nel 1994, questo nel 1993...
Un giorno la mamma di Don Gallo dice all'altro figlio 'Io parto' 'e dove vai?' 'in Paradiso' e da quel giorno non ha mangiato più, continuava a fare tutte le sue cose bevendo solo caffé al mattino. il 24 dicembre di quell'anno Don Gallo riceve una telefonata dal fratello, la sua mamma era morta, come aveva deciso. 'Questo è il libero arbitrio, lo dice il Signore, lei aveva capito che il suo tempo era finito'. E sorride, tra una boccata di sigaro e l'altra. Muove le mani, le vene e le arterie sporgono come tunnel dove si inseguono i ragionamenti, si rincorrono le parole, si sottolineano le pause e tutto va su sul filo di fumo che taglia in due la sua bocca.
Dice, 'Vedi sono fortunato ero a Biella ieri e mi hanno regalato questo' e mostra una scatola di sigari, la apre e dentro i sigari sono raccolti in tre pacchetti di diverso colore. Dice 'Questo minimo minimo costa 50 euro, ma minimo eh, sono proprio fortunato perché mi fanno tanti regali'
'Scusi Don Gallo, ma glielo hanno regalato stanotte?' 'sì' 'e il primo pacchetto è già finito?' ridiamo. Ha un sorriso bellissimo Don Gallo, perché è senza esitazioni.
Accende ripetutamente il sigaro e parla guardando me e Carla negli occhi, lo fotografo solo quando guarda Carla, quando guarda me abbasso l'obiettivo, non voglio nulla tra i suoi occhi e i miei. Quello sguardo su di me è solo mio, è lo sguardo di un uomo che fa tutto lui, è lui il regista e parlare con lui è abbandonarsi alla conversazione che conduce e che esaudisce ogni richiesta, dubbio domanda anche se non parlo. Ci sono uomini con cui si è felici di poter stare in silenzio.
Un giorno torna a casa e per stuzzicare la madre le dice, 'mamma ma questi marocchini, ma che vogliono, ma che vengono a fare qui?' lei lo guarda non dice niente ma fa no con l'indice della mano. e lui dice '...eh si vabbé e che vuoi dire?' lei continuava a fare no, 'no cosa, mamma?'
'tu non sai da dove vengono'
'dimmelo tu, da dove vengono?'
'vengono dalla fame'
Fa una pausa e mi guarda, io mi perdo e penso a Dag, a Ibraim, Abou, tutti gli africani che ho conosciuto per questo stesso progetto e che vengono dalla guerra, la fame, la libia che li ha torturati. Don Gallo mi guarda negli occhi mentre i miei si stanno riempiendo di lacrime per la coincidenza, per i miei amici, per la rabbia, per l'impotenza, per questo cazzo di mondo di merda. Faccio di tutto per ritirarle dentro e per farlo mi perdo quello che dice mentre continua il racconto.
Mi riprendo al punto in cui la mamma gli dice: 'te lo sei scordato quando siamo andati via noi dalla fame? che non hai conosciuto tuo nonno perché è dovuto andare in America? Noi adesso siamo i fortunati'
eppure avevano poco, lo stretto necessario ma la sua mamma aveva detto in poche parole quanto viene detto e ridetto in sedute di cervelloni, dice lui, che ragionano e ragionano e intanto la gente muore. Muore! Li respingiamo! dice e poi si ferma.
Alla porta uno dei ragazzi di Don Gallo interrompe ma c'è una giornalista a telefono, Don Andrea ci dice 'ah, mi dovete scusare, io non rispondo nemmeno al Papa ma ai giornalisti sì, se no poi dicono...' e intanto alza la cornetta e la voce '...i giornalisti dicono: Don Gallo non risponde al telefono! ride e aggiunge '...qual buon vento?' e gira e si rigira sulla potrona con le rotelle.
Mi alzo fotografo attorno la sua stanza, mi guarda mi sorride, c'è un quadro della sua mamma accanto al busto di Gesù incoronato di spine, una radio come quella degli anni 80, quelle che andava a cassette e musica dappertutto, tanta, sbircio tra i suoi cd, c'è il suo amico Faber in ogni dove. Dietro di lui una foto di Don Bosco e un rosario di legno.
Penso a questi racconti di generazioni passate e gli voglio fare una domanda, voglio chiedere a Don Gallo cosa pensa del fatto che noi siamo la prima generazione che sta peggio di quella che l'ha preceduta, e come ho chiesto al Maestro Monicelli cosa suggerisce a noi di fare, restare in Italia o cercare lavoro altrove visto che qua non ce n'è.
Mi risiedo e aspetto che finisca l'intervista e lo sento dire 'Ecco questa è la cosa che ho affrontato con Mario Monicelli, è venuto qui a chiedermi cosa potremmo fare noi per voi giovani, eh!? e cosa possiamo fare?'
Sento solo le risposte e intuisco cosa chiede la giornalista, si fa serio e dice 'Parli così perché a occhio e croce un lavoro tu ce l'hai, ma leggi il primo articolo della costituzione...dice l'Italia è un Paese fondato sul lavoro. Punto! L A V O R O senza altre parole dopo, senza coccodè, cococò o come cavolo si dice, scusa io parlo male sono un prete da marciapiede... ride...e dice '...cosa posso dire a voi di questa generazione? nulla solo venite da me parliamo insieme forse esce qualcosa dalla condivisione'
Don Gallo ha risposto alla mia domanda senza che io l'abbia fatta, Don Gallo mi sta, senza saperlo, trovando un senso a tutto quanto, al mio progetto, al mio andare in giro per realizzarlo, al mio non avere minimamente idea di cosa diventerà, Don Gallo sta chiudendo un cerchio. Fa i nomi di Monicelli, padre Zanotelli, parla di Erri De Luca, degli immigrati, e chiude il cerchio di tutte le persone che ho toccato prima di venire fin qua. Improvvisamente ne ho chiaro il senso e improvvisamente sento che ognuno di queste persone a suo modo ha parlato della stessa cosa, di rallentare, di mettere al centro la persona. Ecco perché mi avrà detto Bravissima quando ha letto il mio progetto, perché nasce dal desiderio di fare proprio questo.
'E allora dimmi cosa devo fare?' 'Sono venuta a chiedere cos'è per lei la felicità, il mio progetto si chiama DIRITTO ALLA FELICITÀ'
'Come mai fai questo progetto?' sto per rispondere ma 'Scusa se ti interrompo, penso che bisognerebbe chiamarlo DIRITTO ALLA NON SOFFERENZA, DIRITTO AL PIACERE, bisognerebbe fare un altro progetto sul DIRITTO AL PIACERE, ecco cosa è per me la felicità, la felicità per me è il diritto alla non sofferenza e il diritto al piacere.
Gli offro il quaderno, gli chiedo di scriverlo questo pensiero, me lo ridà, leggo per capire se comprendo la grafia, Don Gallo ha scritto una cosa diversa, un altro pensiero, un pensiero dalla lettera di San Paolo.
Guardo Carla e sorridiamo, nella versione ufficiale si è ricordato di essere prete, forse si è censurato, ha usato le parole della sua “amata chiesa“... è proprio questo Don Gallo, Don Gallo è proprio tutte queste cose qua.
È quasi l'ora del mio treno, il marito di Carla ci chiama per riportarci in stazione, Don Gallo ci accompagna alla porta. Attraversiamo il corridoio zeppo di scatoloni pieni di vestiti, di libri, da smistare, dividere per poi rivendere. 'Con tutto questo- dice Don Gallo- paghiamo lo stipendio per tre giovani mamme'.
Alla fine del corridoio accende una luce in una stanza con ceramiche bianche ma prima ci dà la mano per salutarci, 'ma no la prego, mi abbracci Don Gallo!' E lui ci abbraccia. 'Posso tornare a trovarla?'
Nella mia vita ho sempre avuto voglia di Maestri. Tornerò, forse sì, forse no. Adesso proprio non importa.
Usciamo dal corridoio buio sulla strada piena di luce e io cammino felice a un metro da terra, se incontrassi adesso una pseudo-fotografa con i capelli rossi che mi chiedesse, scusa ma cos'è per te la felicità, adesso lo saprei; le scriverei che sono felice quando mi muovo libera. Quando le mie idee diventano ossessioni a cui lavoro senza aspettative di guadagno, di affetto, di visibilità. Quando faccio incontri lievi senza aspettative.
Che la felicità è il tempo di incontrarsi e di lasciarsi, e capire che qualcosa di noi resta fra noi per sempre.
Torno a Torino, mi aspettano bed&breakfast, contatti, scrittori, editori; mi aspetta Sara così bella che si sveglia al mattino con la sua sottoveste azzurra, la sciarpa azzurra, gli occhi azzurri ed è già perfetta, potrebbe già andare a un gran Galà.
Lei mi ha organizzato il viaggio, ha trovato letti in una Torino strapiena, uno pure a casa di uno sconosciuto galante che ci ha dato le chiavi di casa ma nessuno di noi lo conosce, lei dice 'tranquilla, fidati, sono io la tour manager'. Avviciniamo persone le invitiamo al progetto, dò per scontato che quelli a cui ho fatto favori a ripetizione partecipano al progetto e invece si fanno rincorrere tra i padiglioni fino a che non li mandiamo a fanculo e altri inaspettati sono felici di scrivere... Buttiamo via il vecchio e ci pigliamo il nuovo. Scriviamo senza sosta, Stefano Bollani lo fermiamo tra la cucina e il bagno all'Eatitaly. Mauro Corona e Erri de luca ci affascinano per il loro modo pieno di poesia. In fila per la conferenza di Saviano riconosco amici che erano solo amici virtuali.
Il treno mi porta a questo e io penso che non c'è mai progettualità nelle cose che faccio ma che tutto quello che questo progetto potrà diventare, sta già accadendo. è già tutto qua.